La riflessione immobilizzò la mente di Paolo per qualche secondo, ciò che era stato creato per essere ascoltato rendeva incapaci di ascoltare. Conoscendosi, bloccò il pensiero che già stava andando in varie direzioni. Prese un bicchiere da un vassoio ed iniziò a farsi strada verso un posto a sedere. Era un’operazione complessa visto che il percorso era ostacolato da decine e decine di persone che ballavano. Ogni tanto riconosceva qualcuno ma per la maggior parte erano un miscuglio di anonime camicie intrise di sudore o spalle nude e capelli profumati. Al di là della vetrata, sulla terrazza, nonostante il freddo, qualcuno si abbracciava, qualcun altro si baciava, qualcuno beveva o fumava. Ma quello su cui a brevi tratti si fermava lo sguardo di Paolo al di là delle teste e dei riflessi nei vetri era l’arazzo della Roma notturna. Stava guardando 2500 anni di storia. Conquistò finalmente l’altra parte della sala. Voleva sedersi. La mattina era uscito a correre, aveva esagerato ed il dolore al ginocchio era tornato, impietoso. Il divano davanti a lui era pieno di gente ma, mentre stava per allontanarsi, tre persone si alzarono e lui si sprofondò, con sollievo, negli avvolgenti cuscini bianchi. Era un divano di pelle e Paolo detestava i sofà di pelle; erano sguscianti e scivolosi e d’estate insopportabili, ma in quel momento era perfetto. Accanto a lui era rimasta una ragazza che intuiva essere graziosa. Intuiva perchè le scarpe erano troppo alte, il vestito troppo stretto ed il trucco troppo pesante.
“Ti diverti?” le chiese. “No” rispose lei “Non mi diverto mai alle feste, tanto meno a quelle di capodanno”.
“E allora perchè ci vieni?”
“Perchè si deve fare, no?” Da qualche parte estrasse un pacchetto di sigarette e, mentre diceva “Ti spiace?”, se ne accese una, facendo poi scomparire il pacchetto e comparire un minuscolo posacenere.
Paolo era incuriosito. “Sei qui con qualcuno?” . “Sono venuta con lei” ed indicò una ragazza che ballava “ma tra un pochino me ne vado”. “Come! Non aspetti la mezzanotte?” “Perchè dovrei? Sarà uguale ad ora” disse guardando l’orologio “Sarà uguale a quella dello scorso anno e del prossimo anno. Il tempo è uguale. Noi dovremmo essere diversi.” Paolo esclamò: “Mi hai fatto pensare al Dialogo di un venditore di almanacchi di…” “Leopardi” terminò lei. Con sguardo assorto osservò la nuvola di fumo che, allontanandosi dalle sue labbra, aveva accompagnato quel nome. Rimase immobile per un attimo e poi, fissando la mano che si avvicinava al posacenere, esclamò: “Bene”. Spense la sigaretta e si mosse come stesse per alzarsi. Paolo si sentì quasi terrorizzato all’idea. “Dove vai?” “Vado ad essere diversa. A celebrare il mio capodanno.” “Cosa significa?” domandò lui. “Quella è stata la mia ultima sigaretta . Lo scorso anno ho celebrato il mio ultimo bicchiere. Ora vado a recuperare le scarpe da ginnastica che ho lasciato all’ingresso. E prima di uscire mi tolgo tutta questa roba dalla faccia! Ogni anno mi vesto e mi trucco per celebrare le mie liberazioni !” Si alzò e anche Paolo scattò in piedi. Rimase per un attimo trafitto dal dolore al ginocchio ma riprese subito fiato e, sfiorandole il braccio mentre lei si allontanava, le chiese: “Come ti chiami?” “Benedetta” rispose lei girando leggermente la testa e continuando a camminare. Paolo guardò il collo sottile sotto i capelli raccolti e provò un’infinita tenerezza. “Posso venire con te?” Nel suo tono erano mescolati ammirazione, attrazione e l’attesa di un altro sentimento.
Benedetta si girò, lo guardò con dolcezza e gli sorrise.
Da “Racconti di fumo” di Francesca Cesati
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