Notizie dal mondo: il post pandemia ha indotto quasi la metà dei dipendenti a fumare più di prima

Smettere di fumare in azienda si può

Lo scorso mese, durante una sessione di approfondimento all’Invent Health Virtual Event – Primary Care della serie New Medical QB, David Utley, fondatore e CEO di Pivot – azienda digitale per la salute che adotta un approccio multiforme per convincere le persone a smettere di fumare – ha posto la domanda: “perché la maggior parte delle aziende non prende sul serio il fumo?”

Dopotutto, il fumo di sigaretta uccide più persone del COVID; il tabacco è responsabile di oltre 480.000 decessi all’anno solo negli Stati Uniti, di cui oltre 41.000 dovuti all’esposizione al fumo passivo. E la pandemia ha solamente peggiorato le cose, con le vendite di sigarette in crescita nei primi 10 mesi del 2020, dopo che si era visto, dal 2015, un calo annuo compreso tra il 4% e il 5%.

Tale aumento sembra essere ciò che ha finalmente spronato a cambiare l’ atteggiamento nei confronti del fumo sul posto di lavoro – questo è  quanto emerge dal nuovo rapporto pubblicato da Pivot martedì, chiamato Attitudes Toward Tobacco Use in the Workplace

Lo studio ha incluso 530 professionisti delle risorse umane responsabili dei programmi di benefit per i dipendenti della loro azienda, nonché 1.525 dipendenti che lavorano in uno dei cinque settori con una prevalenza di consumo di tabacco relativamente alta: edilizia, hotelery, manifatturiero, vendita al dettaglio o trasporti e che dichiarano  di utilizzare  per lo meno un prodotto al tabacco.

Alla domanda su quali fossero le tre priorità in cima alla lista di benefici per i dipendenti e dei programmi di benessere nel prossimo anno, il 14% degli HR ha messo il tabacco subito dopo la salute mentale, al primo posto con il 27%   e alla salute del cuore e dei polmoni, con il 23%  (quest’ultima comunque interessata dall’uso del tabacco –  ndt)

In totale, quasi la metà, il 46%, considera il tabacco una delle tre priorità principali, anche se questo è ancora poco rispetto al 64% per la salute mentale e al 62% per la salute del cuore e dei polmoni. Il rapporto ha anche mostrato che il COVID ha causato un aumento del fumo tra i dipendenti; quando è stato chiesto quale fosse stato l’impatto della pandemia sul  consumo di tabacco, quasi la metà ha affermato che l’ha  peggiorato.

Tra questi: il 12% ha affermato di aver ricominciato a usare il tabacco dopo che aveva smesso, il 17% di averne aumentato il consumo e – dato scioccante – il 19% ha detto di aver iniziato a farne uso per la prima volta, proprio in pandemia.

Come risultato di questi numeri, il 97% dei datori di lavoro ora vede l’uso del tabacco- sia in forma vaporizzata che combustibile – come un problema.

Quindi, la domanda successiva è: cosa intendono fare in proposito? La risposta: intendono rendere disponibili, nel 2022, programmi per la disassuefazione al fumo.

In totale, il 73% dei datori di lavoro ha affermato che certamente offriranno tali programmi e un altro 21% stanno valutandone la possibilità. Anche i dipendenti, nella stragrande maggioranza,  lo desiderano , con circa l’85% di loro che, in assenza di programmi offerti dai datori di lavoro per la disassuefazione dal fumo, asseriscono che ne desidererebbero uno, e 80% dei dipendenti tabagisti affermano che “probabilmente” parteciperebbero al programma, compreso il 31% che afferma che “molto probabilmente” farebbero altrettanto.

“Il COVID e lo svapo hanno messo un punto esclamativo su un enorme problema che non era tra le priorità della maggior parte delle aziende. Ha reso sensibili al tema e credo che, una volta che molti di questi datori di lavoro avranno attuato validi programmi di cessazione del tabacco nel 2022, questi ultimi resteranno attivi per un lungo periodo”, ha affermato Utley.

Tuttavia, c’è una certa disorganicità tra i datori di lavoro e i dipendenti sull’efficacia di questi programmi nelle aziende che già li hanno adottati.

“ Sebbene il 60% dei datori di lavoro ritenga che i programmi che hanno in essere  siano molto efficaci, solo la metà dei dipendenti –  ovvero le persone che effettivamente utilizzano il prodotto –  la pensa allo stesso modo. E mentre solo l’11% dei datori di lavoro ha affermato che questi programmi  sono in parte o totalmente inefficaci, la percentuale aumenta salendo al  31% quando la domanda viene posta  ai dipendenti.

Il rapporto ha anche mostrato che il 26% dei lavoratori di aziende che offre  un programma ha affermato che una comunicazione non corretta, con conseguente  mancanza di comprensione, impedisce loro di iscriversi, e il 67% dei dipendenti che usano tabacco afferma di nasconderlo spesso al proprio datore di lavoro.

Quel che è ancora peggio è che  meno della metà dei dipendenti è consapevole del fatto che il proprio datore di lavoro offra questi programmi. Di conseguenza, solo il 39% di loro li ha utilizzati.

La mia speranza è che questi dati aiutino i leader dei benefit a capire come altre aziende vedano l’uso del tabacco in ambito aziendale, cosa pensano i loro dipendenti tabagisti del trattamento riservato loro dall’azienda e come gestire al meglio questa crisi“, ha affermato Utley.

“Alla fine, i manager dei benefit possono cambiare la vita dei dipendenti che fanno uso di tabacco, proteggendo al contempo il loro marchio e i loro profitti”.

articolo di  Steven Loeb